“L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria.”
“Arbeit macht frei” era la macabra scritta che accoglieva i deportati al loro arrivo nei campi di concentramento per ricordare loro che “Il lavoro rende liberi”.
Milioni e milioni di uomini, donne e bambini furono barbaramente uccisi in questi campi, che nulla avevano a che vedere con i campi di lavoro.
E noi oggi più che mai abbiamo il dovere di ricordare; il dovere di raccontare. Perché non accada più. Perché i nostri bambini sappiano, divenendo adulti, quello che l’uomo è stato capace di compiere. E non millenni fa, ma solo 70 anni indietro rispetto al nostro oggi, fatto di smartphone, wifi e globalizzazione.
Ecco perché non ho potuto fare a meno di includere durante il mio viaggio in Baviera la visita al campo di Dachau (aperto nel 1933 e liberato il 29 aprile del 1945: 12 anni durante i quali furono uccisi 41.500 prigionieri). Perché avevo bisogno di vedere con i miei occhi, di respirare quell’atmosfera di orrore, di tristezza, di impotenza, di rabbia che solo in questi luoghi si può vivere fino in fondo.
Non ci sono parole per spiegare quello che significa, quello che è stato. Quello che questa visita ha rappresentato per me.
Era il 13 agosto eppure faceva freddissimo. Un freddo che ti entra nelle ossa, quando non puoi capire, quando non puoi accettare. Davanti ai racconti, ai volti, agli oggetti, ai simboli, ai nomi, al dolore, ai corridoi rimasti al buio, alle stanze in cui tutto finiva.
Ricordo che con il mio ragazzo di allora decidemmo di scattare tutte le immagini in bianco e nero, perché non possono esserci colori in un luogo simile; perché anche il cielo si era uniformato al grigio di quegli spazi. Perché c’era quasi del pudore nel raccogliere quegli scatti. Le lascerò così, senza didascalie e senza commenti. In tutta la loro crudeltà. Quella che mi ha colpita come un pugno nello stomaco, che non se ne va più.
Dopo le birrerie e le bellezze di Monaco, dopo la pace del Castello di Nymphenburg, lo scontro con questa realtà è stato durissimo, ma secondo me necessario. Perché come disse Levi che quest’incubo lo ha vissuto sulla sua pelle, il segnalibro della memoria non dobbiamo toglierlo mai. Mai!
Informazioni:
Indirizzo:
Alte Römerstraße 75
85221 Dachau
Orario visite:
9-17
Ingresso Libero.
Come arrivare:
Il campo si trova a 15 km circa dal centro di Monaco di Baviera.
In automobile: all’esterno del campo c’è un punto informazioni, un punto ristoro e un grande parcheggio.
Con i mezzi pubblici: Metropolitana S2 “Dachau” + bus 726 “KZ-Gedenkstätte”
9 Comments
No, non dobbiamo dimenticare.
Grazie per questo post toccante!
Grazie a te. Non possiamo dimenticare tutto quello che l’uomo è ancora oggi capace di fare. Le stragi quotidiane ce lo ricordano anche troppo bene.
Anche io sono stata tanti anni fa a Dachau con la scuola, è stato molto toccante. Ero piccola, siamo andati per divertirci a Monaco, ma Dachau ha toccato tutti. Oggi è il giorno della memoria e noi dobbiamo ricordare. Ma dobbiamo ricordarlo tutti i giorni perchè l’uomo purtroppo li commette ancora questi atti atroci. Oggi più che mai. Restiamo Umani.
Credo sia un’esperienza che a tempo debito vada fatta fare ai ragazzi. Aiuta a capire e a non perdere la memoria proprio oggi che ci troviamo davanti a tanti orrori e restare umani, come suggeriva Arrigoni, pare essere sempre più difficile.
Già. Purtroppo.
Che luoghi toccanti. Io, durante un viaggio a Cracovia, sono stata ad Auschwitz, ed è stata davvero un’esperienza forte, che non si dimentica facilmente.
Complimenti per le foto, sono molto suggestive!
Ciao Antonella, grazie mille. Mi fa piacere essere riuscita a trasmettere quei luoghi attraverso questi scatti. Vorrei tanto vedere Cracovia e andare ad Auschwitz. Sono esperienze importanti, forti, ma sono certa che sia assolutamente necessario non dimenticare.
Un abbraccio!
No, non credo di poter riuscire a visitare un luogo del genere! Ho dato degli esami di storia all’università a riguardo e non sai quanto sono stati difficili da studiare!
La scorsa estate a Berlino non sono riuscita a visitare il campo di concetramento Sachenhausen 🙁
Lo credevo anche io, ma alla fine ha vinto la voglia di vedere con i miei occhi quanto l’uomo può spingersi oltre e fare del male. Credo sia un’esperienza senz’altro forte e non facile, ma la rifarei.